«Volevo a tutti i costi quel naso. La chirurgia plastica è come una dipendenza. Vedevo le influencer e ci ho creduto» ha raccontato al Corriere Altea Lenzi, la ragazza di Livorno che si è rifatta il seno due volte, orecchie, labbra, ombelico, naso. Cosa spinge sempre più persone, anche molto giovani, a sottoporsi compulsivamente a interventi di chirurgia estetica? Si può parlare di una sorta di “dipendenza” da «ritocchi», quasi «ossessionati» dalla perfezione? Si tratta di un disturbo? Come si cura? Ne abbiamo parlato con la presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Liliana Dell’Osso, past president del Collegio Italiano dei Professori Ordinari di Psichiatria.
I dati
Secondo recenti dati dell’International Society of Aesthetic Plastic Surgery (hanno risposto al sondaggio circa 1600 chirurghi plastici), nel 2023 le procedure chirurgiche a livello mondiale, rispetto al 2022, sono cresciute del 5,5% e i trattamenti non invasivi del 19,1%, raggiungendo rispettivamente più di 15 milioni 800mila e quasi 19 milioni 200mila. In Italia nel 2023 si sono registrati più di 262 mila interventi di chirurgia plastica (come blefaroplastica, rinoplastica, addominoplastica, liposuzione, mastoplastica additiva) e 495.188 trattamenti non invasivi (infiltrazioni di acido ialuronico, botulino, peeling ecc).
Professoressa Dell’Osso, può esserci una sorta di “dipendenza” che porta a sottoporsi compulsivamente alla chirurgia estetica?
«Va ricordato che il DSM (manuale di diagnosi descrittiva dei disturbi mentali ndr) riconosce come dipendenza comportamentale (non da sostanze) solo il gioco d’azzardo. Il caso in esame rientra nella dismorfofobia (dal greco dis-morphé cioè immagine distorta, e phobos cioè fobia); del resto, la dismorfofobia ha in comune con la dipendenza l’incoercibilità, il fatto che si tratti di una patologia della sfera volitiva, cioè il soggetto non ha il controllo del proprio comportamento».
Si tratta di un disagio psicologico, di desiderio di essere «perfetti» seguendo i nuovi canoni di bellezza, di una moda che s’ispira anche al “modello” di influencer che mostrano sui social i propri ritocchi a seno, labbra, naso, glutei e altre zone del corpo?
«Gli individui con disturbo da dismorfismo corporeo (o dismorfofobia) sono preoccupati per uno o più difetti o imperfezioni percepite. Le preoccupazioni variano dall’apparire “non attraente” o “non giusto/a” all’apparire “orribile” o “come un mostro” e possono essere focalizzate su una o molte aree corporee, più comunemente la pelle (acne, rughe), i capelli o i peli (per esempio: “diradamento” dei capelli o eccessiva peluria) o il naso (per esempio: la grandezza o la forma), seno, gambe, dimensione o forma del viso, labbra, genitali).
Per spiegare questa condizione, il modo per intenderla correttamente è anzitutto osservare a quale ambito diagnostico è correlato nei sistemi diagnostici internazionali ovvero quello del disturbo ossessivo compulsivo. Si tratta, insomma, di un’idea fissa, di un’ossessione. Come tale, e come spesso succede, ha poco a che vedere con l’esame di realtà, è intrusiva, indesiderata, consuma tempo (verificandosi, in media, per 3-8 ore al giorno) ed è di solito difficile resistervi o controllarla».
Cosa succede se si ha quest’idea “fissa”?
«In risposta alle preoccupazioni, l’individuo si sente spinto a mettere in atto rituali comportamentali, come controllare ripetutamente allo specchio o su altre superfici riflettenti i difetti percepiti, oppure esaminarli direttamente; farsi “selfie”, dedicarsi eccessivamente alla cura di sé (per esempio: pettinarsi, truccarsi, rasarsi, depilarsi o strapparsi peli); ricercare rassicurazione riguardo a come appaiono le imperfezioni percepite; toccarsi le aree non gradite per controllarle; ricercare trattamenti estetici. Tali comportamenti portano tipicamente a consumo di tempo e a difficoltà nel resistervi o nel controllarli. L’effetto è quello di un calo dell’umore, di un’enorme ansia. A tale condizione si affiancano poi idee di autoriferimento, dacché il paziente si sentirà osservato da tutti, e penserà che tutti parlino del suo difetto, in termini spiacevoli. Per paradosso, e proprio per la natura della malattia, in molti casi il paziente può addirittura essere consapevole che il difetto in questione non sia poi così grave, ma non riuscirsi a liberare di questi pensieri».
Si può curare questo disturbo?
«È curabile sia con terapia farmacologica che con psicoterapia che con l’associazione di entrambe. Tuttavia, l’idea di poter risolvere il proprio presunto difetto estetico con una manipolazione fisica spinge questi pazienti molto più frequentemente dal medico o dal chirurgo estetico piuttosto che dallo psichiatra. Anche la scarsa letteratura scientifica sul disturbo da dismorfismo corporeo è focalizzata sul problema della prevalenza di tali pazienti in contesti di medicina o chirurgia estetica (una frequenza stimata intorno a 20%, ma in alcuni contesti può superare il 50%). La elevata tendenza (80%) alla recidiva dell’insoddisfazione per i risultati degli interventi estetici nei pazienti psichiatrici (tanto da far pensare all’utilità di uno screening per evitare interventi inutili o addirittura dannosi) indica la forte persistenza del disturbo da dismorfismo corporeo, ben maggiore delle comuni fobie e ossessioni, e refrattario, in modo quasi delirante, alla conferma o disconferma sul piano della realtà. Così il “dismorfofobico”, una volta che oltrepassa il semplice tema del difetto somatico, può – come Vitangelo (Gengè) Moscarda, protagonista del celebre romanzo di Pirandello “Uno, nessuno e centomila” – perdere progressivamente il contatto della realtà, e sviluppare o essere trascinato in comportamenti non più comprensibili».
Link Articolo Corriere della sera di Maria Giovanna Faiella: Altea Lenzi e la chirurgia estetica: come si cura e in cosa consiste quel bisogno compulsivo di continui «ritocchi»? | Corriere.it