Vi è una tendenza a minimizzare o stigmatizzare i disturbi della psiche a presentazione femminile. Vanno ad assottigliarsi le differenze nella prevalenza di genere delle varie patologie, sia somatiche sia psichiche
Diverse dinamiche sociali sembrano aver ribaltato, ormai da tempo in occidente, i «classici» ruoli di genere. Era iniziato tutto come una questione dei massimi sistemi, a partire dal rivoluzionario biennio ‘68-‘70. A quell’epoca Michel Foucault aveva ripensato la sessualità come un costrutto storico, non biologico: vale a dire che non conta tanto come si nasce, ma come si viene cresciuti. Erano i primi germi di un dibattito che ora ci impegna tutti. Anche la psichiatria è costretta a fare i conti con il ridisegnarsi della società attorno a nuove identità di genere. Non si pensi qui al caso specifico della disforia di genere ma, piuttosto, al fatto che vanno ad assottigliarsi le differenze nella prevalenza di genere delle varie patologie, sia somatiche sia psichiche, e che mutano le interazioni tra genere e manifestazioni cliniche davanti a cui il nuovo contesto ci pone.
L’atteggiamento pregiudiziale nei confronti della donna non risparmia l’ambito medico. È forte la tendenza a studiare i disturbi basandosi sulle tipiche presentazioni maschili. Soprattutto in ambito psichiatrico vi è una tendenza a minimizzare o a stigmatizzare i disturbi a principale presentazione femminile, quale ad esempio il disturbo borderline di personalità, a causa delle modalità di comunicazione orientate alla drammaticità e alla suggestionabilità, che in passato erano indicate con la diagnosi sessista di «isteria». Trattandosi di disturbi che presentano frequentemente in anamnesi una storia di traumi e, in particolare, abusi sessuali, ciò ha favorito la tendenza alla sospettosità verso le denunce di violenza da parte delle donne, che ancora oggi non raramente sono accusate di falsificare o esasperare le esperienze subite, portando a sottovalutare la presenza e la gravità dei disturbi trauma-correlati. Lo stigma dell’alterazione dei fatti o dei sintomi nella psicopatologia femminile favorisce il perpetrarsi della violenza e nega un’assistenza medica adeguata alle vittime.
Con il potere, economico e lavorativo, discendono ulteriori possibilità, non tutte virtuose. In particolare, le donne non sono più condannate al ruolo di vittime: hanno tutti gli strumenti per assumere anche quello di carnefici. Si tratta quindi di rimanere in attenta osservazione di questi cambiamenti sociali. La violenza rosa è una singolare distorsione dell’universo femminile. Cambiamenti culturali profondi hanno determinato la progressiva perdita di quelle caratteristiche di femminilità che, sebbene fossero ritenute su base biologica, si sono dimostrate anche fortemente influenzate dall’ambiente. Ma l’umanità ha un bisogno irrinunciabile delle ancestrali, idealizzate, vere o presunte virtù femminili: delicatezza, pazienza, gentilezza. C’è da sperare che di queste doti non si perda, nel futuro prossimo, ogni traccia, a prescindere dal genere.