L’intervista esclusiva che la presidente Liliana dell’Osso ha rilasciato a Valeria Pini per La Repubblica e La Stampa.
C’è ma non si vede, almeno a un occhio poco attento. Parliamo di depressione, disturbi d’ansia e di tutti quei disturbi mentali che il più delle volte non riusciamo a percepire. Pazienti ‘fantasmi’ che soffrono e spesso si nascondono perché ancora oggi lo stigma è forte. In molti non si curano per paura di essere etichettati come ‘strani’ o, peggio ancora, ‘fuori di testa’.
Secondo le stime epidemiologiche, diffuse in occasione Giornata Mondiale della Salute Mentale che si celebra il 10 ottobre, a soffrire di disturbi psichici in Italia sarebbe almeno il 5% della popolazione, circa 3 milioni di persone, percentuale che sale al 10% se si includono anche i disturbi più lievi, come ad esempio gli attacchi di panico che sono comunque invalidanti.
Dai dati delle sorveglianze Passi e Passi d’Argento dell’Istituto superiore di sanità, emerge che il 6% degli adulti ha sintomi depressivi, una quota in calo ma in aumento nelle persone di 18-34 anni. Un problema che coinvolge di più le donne (7%), chi vive solo (7%), le persone socialmente più svantaggiate (19%) o in una situazione di precariato lavorativo (8%) o con bassa istruzione (10%) e i pazienti con patologia cronica (11%). Spesso queste persone non trovano risposta al loro dolore nel Servizio sanitario nazionale che stenta a rispondere alle richieste.
Ma perché queste patologie sono in aumento? C’è un collegamento con la crisi, le guerre o abbiamo semplicemente imparato a fare più attenzione a queste patologie che sono diagnosticate più spesso? “Nell’ultimo secolo abbiamo assistito a una crescita straordinaria della ricerca sui disturbi mentali, l’attenzione clinica verso queste condizioni si è accresciuta, complici anche gli straordinari progressi effettuati in ambito psicofarmacologico. Col passare del tempo, sono seguite campagne di prevenzione e anche la consapevolezza della popolazione generale verso la sofferenza psichica è migliorata. Direi quindi – spiega Liliana Dell’Osso, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP) – che non c’è un vero e proprio aumento dei disturbi mentali. In realtà riuscire ad effettuare una diagnosi precoce permette di intervenire in modo tempestivo e di tenere sotto controllo il disturbo più efficacemente, con una prognosi, in generale, migliore. Del resto nel corso della storia di periodi critici ce ne sono stati molti, pensiamo, per fare solo qualche esempio, alla peste del Trecento o ai conflitti mondiali dell’ultimo secolo”.
Professoressa Dell’Osso quali sono le patologie più diffuse?
“I disturbi d’ansia e la depressione maggiore sono tra le condizioni psichiatriche più comuni. Ma sarebbe necessario prestare attenzione non solo ai disturbi conclamati ma anche a tutto quell’universo di sintomi e tratti sotto la soglia clinica, atipici o isolati, che possono appartenere allo spettro di disturbi mentali diversi e che si trovano distribuiti in un continuum nella popolazione generale, influenzando la traiettoria di vita, le scelte familiari, sentimentali, accademiche e lavorative, e costituendo un terreno di vulnerabilità per lo sviluppo di patologie conclamate”.
Esistono fattori di rischio?
“In psichiatria, vi è sempre una componente di vulnerabilità individuale, genetica, neurobiologica, che costituisce il fattore di rischio principale per lo sviluppo di un disturbo. Certamente, però, gli eventi di vita stressanti possono essere fattori precipitanti, eventualmente slatentizzando l’insorgenza di un disturbo conclamato in soggetti predisposti. Quando la vulnerabilità individuale è marcata, il disturbo potrà insorgere anche in assenza di fattori precipitanti ambientali o in presenza di eventi minimi, che fanno parte della vita di tutti, come ad esempio la conclusione di un percorso scolastico e l’inizio di uno nuovo, oppure un trasloco. In soggetti resilienti, è possibile che eventi vitali fortemente stressanti possano slatentizzare l’insorgenza di un disturbo che altrimenti sarebbe rimasto latente per tutta la vita”.
Quali sono i sintomi che devono far preoccupare?
“I sintomi dei disturbi mentali sono estremamente variabili a seconda del disturbo ma anche da individuo a individuo. Ogni persona è un capitolo a sé. Quello che si può dire è che, per fare diagnosi di disturbo mentale, deve esserci sempre, al di là del quadro specifico dei diversi sintomi, la presenza di una sofferenza soggettiva o una compromissione dell’adattamento psicosociale. Da questo punto di vista, quindi, è importante non ignorare mai la propria sofferenza psichica né le manifestazioni di sofferenza negli altri ma anche i cambiamenti o le difficoltà nel funzionamento sociale, familiare, scolastico e lavorativo”.
E quali sono le cure?
“Oggi le terapie psicofarmacologiche di cui disponiamo sono molte e abbiamo la possibilità di personalizzare il trattamento, cucendolo addosso al soggetto, in modo da tenere conto della sua patologia principale ma anche delle altre condizioni mentali e somatiche concomitanti. Utile anche l’associazione di una psicoterapia: è sempre con il doppio intervento, psicofarmacologico e psicoterapico, che si raggiungono i risultati migliori”.
Si fatica ancora a parlare dei disturbi mentali come di vere e proprie patologie. Si tende a minimizzare pensando a stati d’animo passeggeri. Come convincere i pazienti che non vogliono curarsi, forse anche per questo stigma?
“Purtroppo in questo contesto, la lotta contro la discriminazione viene in alcuni casi portata avanti al contrario. Invece di normalizzare il fatto di poter avere un disturbo mentale, che non è diverso da un qualsiasi disturbo fisico, si nega lo status di patologia alle malattie del cervello. E in questo risiede la vera discriminazione, che allontana i pazienti dalle cure perché la conseguenza del ritenere di non avere davvero una patologia è quella di non dovere assumere i farmaci, convinzione spesso rinforzata da amici e parenti. Non diremmo mai “puoi farcela da sola” a nostra madre mentre sta avendo un infarto, ma spesso questa frase viene ripetuta ai pazienti psichiatrici dalle persone che hanno attorno, scoraggiandole dal cercare aiuto specialistico. Eppure, il cervello è un organo come gli altri e il ritenere che non possa ammalarsi è una concezione figlia di un dualismo mente-corpo che non ha ragion d’essere nel terzo millennio: appartiene a un passato lontano”.
Le malattie psichiatriche devono quindi essere considerate come le altre
“Sì, il paziente dello psichiatra equivale a quello del cardiologo o dell’epatologo e, in questo senso, come nessuno viene discriminato perché ha una aritmia, benché sia riconosciuto da tutti che è una patologia, lo stesso dovrebbe avvenire per la depressione maggiore o per i disturbi d’ansia, senza però che il paziente si veda privato della dignità di malato. Per questo è importante continuare a offrire campagne di informazione e prevenzione e fare attenzione ai messaggi che possono essere controproducenti. Perché, se dal cardiologo in genere si va anche solo per un controllo, dallo psichiatra si finisce per andare solo dopo anni di sofferenze, talora anche compromettendo, a causa del ritardo, la buona riuscita dell’intervento terapeutico”.