La SIP, per voce della presidente Emi Bondi, è intervenuta con una intervista a Repubblica sul tema del fine vita, commentando la vicenda di Marta, che ha deciso di togliersi la vita con il suicidio assistito in Svizzera. Ecco il testo integrale dell’articolo.
È morta a 55 anni in una clinica svizzera ricorrendo al suicidio assistito. Nessuna malattia degenerativa, come accade in genere in questi casi, ma una grave depressione per un lutto. Marta aveva perso un figlio adolescente e non riusciva a riprendersi. Per questo, senza dire nulla al marito, ai parenti e agli amici, ha deciso di salutare la vita in un centro medico a 15 minuti dal cuore di Basilea. La clinica ha avvisato la famiglia solo a cose fatte, con una mail.
Una depressione profonda probabilmente quella che ha colpito la donna dopo il grave lutto. Un dolore che non è riuscita a superare. “Vicende come questa meritano sempre grande rispetto e spesso anche un silenzioso rispetto – spiega Emi Bondi, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP) – .Siamo sicuramente di fronte ad una persona che ha sofferto molto, tanto dia decidere di non riuscire più a vivere”.
Professoressa Bondi, in casi come questo, pur dovendo convivere per il resto della vita con la perdita del figlio, è possibile riprendersi? Le terapie possono aiutare a uscire dalla depressione?
“È difficile dire, senza conoscere il caso direttamente, quanto questa sofferenza fosse “irreversibile”, perché la perdita di un figlio è qualcosa che chiunque di noi può intuire , cambia inesorabilmente la vita e quanto questo terribile dolore ma anche “fisiologico” dolore, fosse stato complicato dall’insorgenza di depressione, cosa che può accadere in queste situazioni, tanto che il DSM-V, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, considera questi quadri come “lutti complicati”, intendendo quei quadri sintomatologici depressivi che vanno oltre come intensità e come durata al comune stato depressivo di chi ha appena avuto una importante perdita affettivi e che possono essere curati o comunque attenuati”.
In queste situazioni, il suicidio è un pensiero ricorrente?
“Mi sembra importante ricordate è che fra i sintomi depressivi più frequenti nei casi gravi di depressione, ci sono proprio i pensieri di morte. Ciò non significa che tutti i depressi tentino il suicidio, ma che nella depressione c’è a volte il desiderio e il progettare della propria morte, che viene però meno quando la persona guarisce”.
Il marito non era stato avvertito della decisione della moglie di mettere fine alla sua vita. È giusto?
“È chiaro che anche questa è una questione che può essere discutibile sul piano etico, ma che è ineccepibile sul piano formale, perché la legge prevede il diritto alla privacy dei pazienti. Se mettono il diniego alla comunicazione, la decisione va rispettata”.
Una persona affetta da depressione è in grado di prendere una decisione di questo tipo?
“Quando si tratta di malattie come la depressione, non sempre è facilmente comprensibile quanto la decisione sia dettata dalla legittima volontà del paziente di decidere della propria vita e quindi anche della propria morte e quanto invece sia la malattia a inficiare la capacità di esprimere un consenso consapevole. C’è da chiedersi quanto questa decisione resti tale, una volta curata la malattia e cessata la sofferenza psichica”.
Come si cura la depressione e quali sono le percentuali di guarigione?
“La depressione è una malattia curabile, in oltre il 70% dei casi , anche in tempi brevi, circa un mese, con una terapia farmacologica adeguata. Per il 30% dei casi “resistenti” ai trattamenti più convenzionali, esistono opzioni terapeutiche diverse, alcune approvate anche recentemente. Ci sono i trattamenti integrati, psicoterapia e farmacoterapia, e altre forme di terapia. Purtroppo il problema è aiutare il malato a capire di farsi curare, a dargli la speranza che si può uscire dal tunnel di sofferenza che ci sembra non ci consenta più di vivere”.