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Nel primo trimestre del 2025, le denunce di malattia professionale in Italia hanno raggiunto quota 24.419, segnando un aumento dell’8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il lavoro può ammalare anche la mente? Risponde la prof. Calò.
Ansia persistente, disturbi del sonno, perdita di motivazione: sono solo alcuni dei segnali di un disagio psicologico che, se trascurato, può sfociare in vere e proprie patologie. In un’epoca in cui lo stress cronico e il deterioramento del benessere emotivo colpiscono sempre più lavoratori, possiamo ancora considerarli semplici effetti collaterali? Ne abbiamo parlato con la psichiatra Paola Calò, esperta in salute mentale e medicina del lavoro.
«Lo stress lavorativo rappresenta un problema di prioritaria importanza per le organizzazioni. Alti livelli di stress correlati al lavoro hanno, infatti, conseguenze sulla salute fisica e mentale. A livello psichico, lo stress cronico, che si verifica quando il corpo smette di dare risposte adattive, facendo subentrare quelle disfunzionali, si associa a eccessivi livelli di ansietà, depressione, sensazione di affaticamento, esaurimento. A livello fisico, lo stress è stato associato a problematiche cardiovascolari, muscoloscheletriche, e a compromissioni del sistema immunitario.
Negli ultimi anni, lo stress cronico lavoro-correlato ha ricevuto un riconoscimento come vera e propria malattia professionale. A giusta tutela di quella che la comunità scientifica ha iniziato a definire come la ‘malattia del secolo’, la pronuncia n. 559 del 21 settembre 2023 della Corte d’appello di Firenze ha infatti riconosciuto la ”costrizione lavorativa” come causa esclusiva di malattia professionale, aprendo la strada alla tutela INAIL per i lavoratori colpiti.
Secondo questa sentenza, quando le condizioni lavorative (come pressioni, vessazioni o organizzazione inadeguata) superano la capacità di adattamento del lavoratore, possono produrre danni cronici alla salute, tra cui disturbi psichici e fisici, che rientrano a pieno titolo tra le malattie professionali indennizzabili. Il Ministero della Salute ha inoltre inserito le patologie da stress nella lista delle malattie di origine lavorativa, rafforzando la legittimità di queste condizioni come oggetto di tutela e prevenzione».
Ma quali sono i segnali che il lavoratore dovrebbe imparare a riconoscere prima che il disagio diventi clinicamente rilevante?
«Lo stress occasionale può essere fisiologico, e in caso di stress acuto il nostro corpo riesce a dare una risposta adattiva, ovvero il nostro organismo è stimolato a difendersi al meglio, reagendo dal punto di vista immunitario e psicologico. Ma quando l’arco temporale si prolunga o si supera una certa intensità, oltre che assistere a un calo della motivazione e della soddisfazione professionale e a un senso di inadeguatezza, lo stress diventa cronico ed è necessario intervenire prima che diventi clinicamente rilevante. I campanelli di allarme da riconoscere precocemente sono i disturbi del sonno, ad esempio dormire meno e male, o svegliarsi stanchi. Oppure una modificazione del modo in cui ci si relaziona al cibo, ad esempio una tendenza ad alimentarsi in eccesso o a introdurre alimenti ricchi di grassi e zuccheri, o problemi nella digestione. A questo si possono aggiungere altri segnali, come una sorta di inerzia emotiva o veri e propri cali dell’umore, stanchezza, irritabilità, maggiore vulnerabilità del sistema immunitario, ad esempio tendenza a contrarre frequentemente le malattie di stagione. Tali sintomi incidono anche su più alti tassi di assenteismo dal lavoro o cali nella prestazione lavorativa.
È fondamentale cogliere questi segnali e cercare di adattare uno stile di vita che riesca a controbilanciare la tensione. È utile senz’altro praticare una regolare attività fisica, avere una corretta alimentazione, valutare l’ausilio di un aiuto professionale, medico o psicologico, per prevenire l’evoluzione verso condizioni clinicamente rilevanti come il burnout o la depressione, soprattutto quando sono associati ad agenti stressanti di natura interpersonale».