Dichiarazione Emi Bondi (presidente SIP)
La rilevanza del tema in oggetto ha indotto la Società Italiana di Psichiatria ad istituire, di recente, una Commissione dedicata alla disforia di genere ed alle problematiche diagnostico-terapeutiche ad essa connesse per le quali è prevista un’accurata revisione scientifica dello stato dell’arte a livello internazionale e una valutazione delle implicazioni cliniche che ne derivano, che verranno comunicati e diffusi appena disponibili.
Vista la complessità e la delicatezza del tema, sono inoltre da valutare le implicazioni sociali, delle libertà di scelta individuali e delle intersezioni con gli aspetti giuridici, tutti elementi – questi – che negli ultimi anni hanno suscitato improduttive polemiche e inutili prese di posizione sostanzialmente ideologiche.
L’assenza di studi specifici a lungo termine sui diversi interventi proposti rende ancora più complessa una valutazione sia delle motivazioni alla scelta, sia delle eventuali contro-indicazioni, sia degli effetti diretti sull’organismo e sul cervello del candidato all’intervento.
Le conseguenze psichiche e psicologiche degli interventi oggi a disposizione, siano esse a breve, medio e lungo termine richiedono ricerche specifiche in quanto nell’età infantile ed in quella adolescenziale si possono riscontrare – sottotraccia – problematiche tali da indurre la richiesta o di “modificare” la stessa nel tempo quanto al desiderio di cambiare la propria identità sessuale.
Un rischio da non correre, pertanto, è l’eventuale sottovalutazione dell’irreversibilità dell’intervento.
Ne conseguono due obiettivi fondamentali: a) la necessità di una valutazione preliminare multidisciplinare; b) l’assoluta cautela e personalizzazione della valutazione sul singolo caso come indicato anche da istituzioni prestigiose quali la Columbia University.
In sintesi, evitare ogni deriva ideologica ed ogni forma di estremizzazione sul tema – come quelle che si stanno purtroppo vedendo nell’attualità – risulta oggi fondamentale per il bene degli interessati, soprattutto nei confronti di bambini e adolescenti che già si trovano spesso, oltreché in condizioni di sofferenza, anche privi di supporto a livello decisionale e non di rado marginalizzati dalle famiglie e dal contesto di appartenenza.