Editoriale di Liliana Dell’Osso – Presidente della nostra Società Italiana di Psichiatria, per il Corriere della Sera.
Tutti i grandi maestri hanno affrontato il tema della creatività, della capacità di pensare in modo divergente, di innovare, di creare letteralmente il futuro, con l’obiettivo di fare chiarezza, senza riuscirci. Perché è stato ed è così difficile studiarlo?
Si tratta di spingersi a monte nella traiettoria psicopatologica: l’idea vincente pare quella di un’alterazione, precedente l’esordio bipolare, consistente in un disturbo dello spettro autistico, conclamato o subclinico, da cui il passo alla genialità talora è breve, complice non ultima l’insistenza negli interessi, il perfezionismo, la ruminatività. Ma tale brillante ed eccezionale sorgente di creatività in molti casi si configura anche come fattore di rischio psicopatologico.
In sintesi, l’accostamento, cavalcando l’onda della moda, di una presunta diagnosi di disturbo bipolare ad ipercompetenze in personaggi celebri ignora di fatto che: 1) la diagnosi inquadra soltanto la punta emergente in un dato momento di un disturbo che affonda le sue radici in un precoce disfunzionamento neurobiologico più profondo di tipo autistico 2) che può in effetti essere associato a vantaggi in termini di ambizione, volitività, perseveranza, originalità, capacità di intuizione, scaltrezza e mancanza di scrupoli e di limiti; 3) su tale terreno di vulnerabilità, con l’esordio di un disturbo bipolare si assiste ad una compromissione del funzionamento psicosociale.
L’analisi delle biografie di molti personaggi che hanno scritto la storia della civiltà ne è la prova lampante. Anzi si potrebbe perfino ipotizzare che l’umanità, per la sua evoluzione, abbia necessità della diversità, della neuroatipia, e che il disturbo mentale che vi si può associare sia un rischio che da un punto di vista evoluzionistico vale la pena di correre.