Piazza Armerina, 5 novembre 2024. Una quindicenne di origine araba si suicida impiccandosi all’altalena nel giardino di casa. Era rientrata dalla scuola anzitempo per un malore conseguente a una colluttazione con una compagna motivata da video e foto hard, circolati tra i compagni. La Procura di Enna ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio. È l’ultimo di una serie di casi di suicidio per cyberbullismo, una serie iniziata nel gennaio 2013 a Novara, dove una quattordicenne, Carolina, che aveva bevuto nel corso di una festa, era stata seguita in bagno da cinque coetanei che l’avevano violentata a turno, filmando tutto e pubblicando il video su Facebook; dopo qualche tempo la ragazzina, oppressa dalla vergogna, si era suicidata.
Il social non aveva effettuato alcun controllo sulla diffusione del video, che, approdato su Twitter, aveva scatenato migliaia di messaggi offensivi. In seguito l’applicazione Telegram è stata a più riprese segnalata come uno dei mezzi tecnici più impiegati per il revenge porn ovvero perla diffusione online di immagini intime e di rapporti sessuali o stupri, senza il con senso della vittima o addirittura con finalità ritorsive (come capita talora quando una relazione viene interrotta unilateralmente). Telegram, in cui l’anonimato dell’utente è particolarmente tutelato, è divenuto inoltre l’ambiente virtuale prediletto per gruppi in cui vengono fatte circolare da terzi immagini private e contatti di donne, invitando gli altri utenti a molestarle (pratica nota come doxing). Comportamenti estremamente gravi, in genere diretti contro soggetti più deboli (donne, bambini) o percepiti come diversi per orientamento sessuale, religione, razza, estrazione economico-sociale. (…) Internet è uno strumento potente, diffuso, da cui non si può scappare. Essere denigrati in un simile luogo equivale a divenire oggetto di unanime stigma. A tal proposito, mi sovviene lo slogan di una campagna di qualche anno fa, in cui si sollecitava la vittima a denunciare: “Parla anche se la voce trema!” Ma non ci si deve fermare lì. Bisogna entrare in gioco, come adulti, con responsabilità, delicatezza e attenzione. Siamo noi a dover approntare un dispositivo di qualche tipo per impedire che si riproponga con ineluttabilità naturale un fenomeno deteriore che può avere ripercussioni gravi sulla salute psichica, fino a gesti estremi.
Editoriale di Liliana Dell’Osso – Presidente SIP.